Quanto valgono i nostri dati personali? Secondo gli italiani poco, molto poco

Written By Kom Limpulnam on Selasa, 15 Juli 2014 | 15.10

"Qual è il prezzo minimo a cui venderesti questo pacchetto di informazioni?", è stata questa la domanda posta nella nuova indagine di Telefonica ai 60 intervistati italiani, tutti residenti in Trentino. Nell'arco di sei settimane, la società ha raccolto tutti i dati che venivano generati dagli smartphone forniti agli utenti, richiedendo agli stessi un prezzo per averne pieno accesso.

Come scrive Repubblica.it, i volontari hanno ricevuto un cellulare attraverso il quale potevano chiamare, inviare SMS ed avere accesso ad internet gratuitamente. Il dispositivo utilizzava inoltre un software per monitorare tutte le attività svolte e che a cadenze regolari richiedeva un'interazione con gli utenti. Questi potevano scegliere se vendere, e a che cifra, tutti i dati prodotti.

Parliamo di dati sulle comunicazioni, sulla localizzazione, le applicazioni usate e le foto (e relativi metadati) scattate. Per ogni tipologia di informazione si è scelto l'uso dell'asta inversa, in modo da valutare un vincitore cercando di utilizzare un criterio impossibile da forzare: ad aggiudicarsi la somma era, infatti, la seconda fra le valutazioni più basse fra quelle rilasciate.

Studio valore dati personali

Jacopo Staiano ha spiegato al quotidiano nazionale l'esito delle ricerche: "Più l'utente si sposta durante il giorno, più tende a considerare i suoi dati importanti". I volontari hanno espresso più volte le paure di essere geolocalizzati, tuttavia anche in quei casi hanno chiesto solamente pochi euro in cambio dei propri dati personali. Gli studi hanno mostrato delle "anomalie" in alcuni periodi dell'anno (ad esempio di festa), con cifre più alte rispetto agli altri giorni. Il valore medio dato dagli intervistati ai propri dati personali è pari a 2€ circa, la stessa cifra (talvolta anche meno) di una colazione.

In base ai dati delle nuove ricerche emerge un dato lampante: in Italia manca la consapevolezza del potenziale di mercato dei propri dati sul web e siamo disposti a svenderli o, peggio ancora, offrirli in chiaro alle multinazionali che sono in grado di far fruttare cifre esponenzialmente più elevate rispetto a quanto l'utente medio non possa immaginare. Un piccolo tesoro a piena disposizione dei data broker, che proprio con i Big Data riescono a collezionare informazioni su di noi e rivenderle a nostra insaputa alle grosse multinazionali.

"L'unico a non avere alcuna voce in capitolo è proprio chi produce le notizie, cioè gli utenti", sono state le parole di Bruno Lepri, anch'egli coinvolto negli studi, che ne specifica l'obiettivo: "Il nostro intento è analizzare, e dimostrare, che cosa si può fare con i Big Data e, allo stesso tempo, dare all'utente la possibilità di gestirli: potrà finalmente scegliere se venderli, che cosa vendere e in cambio di quali servizi. O persino, se lo desidera, di mantenerli privati".

Lo studio è stato condotto dal 28 ottobre all'11 dicembre 2013 su 60 uomini e donne trentini d'età compresa tra i 28 e i 44 anni. Verrà presentato all'Ubicomp di Seattle in settembre e può essere approfondito attraverso la lettura di questo documento.


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